Villa romana di Piana del Ceraso
L’ Umbria ha sempre esercitato sui romani un fascino particolare i quali hanno fin dai tempi della Repubblica, manifestato l’esigenza di rifugiarsi in un luogo ameno dove sfuggire alla confusione e al caos che regnava nella capitale, già allora una metropoli con oltre un milione di abitanti. Ne sono testimonianza le numerose ville che punteggiavano le nostre campagne tra “ Ocriculum” e la zona di Pagliano, alla confluenza tra il fiume Paglia e il Tevere, che attestano una frequentazione prevalentemente tra il I° secolo a.C. ed il II° d.C. Alcune di queste ville ancora oggi continuano a restituire preziose testimonianze della vita dell’epoca, vedi la villa di Poggio Gramignano presso Lugnano tuttora oggetto di scavi. Altre sono state per breve tempo strappate all’oblio con scavi eseguiti nei decenni passati ma ora scontano la cronica mancanza di risorse economiche che affligge da sempre il nostro patrimonio archeologico e non solo, pertanto sono di nuovo sopraffatte dalla natura che ne aggredisce i resti con la vegetazione come nel caso di Pupigliano presso Alviano scalo, o in aggiunta a questa dal periodico ripetersi di inondazioni come nel caso di villa Pagliano che nel 2011 ne travolse la fragili strutture di copertura. Alcune probabilmente giacciono mai scoperte in altri luoghi lungo la teverina e chissà se mai potranno riemergere dal passato.
Nel caso che voglio segnalare invece la storia si è svolta in modo diverso.
Nel territorio di Guardea, frazione Cocciano lungo valle Croci in una zona chiamata Piana del ceraso, la tradizione orale vuole che si trovasse una villa romana, tale tradizione sembrava suffragata anche dalla presenza lungo una strada vicinale, di solchi impressi nella pietra di sottofondo (ormai purtroppo perduti) segno inequivocabile del frequente passaggio di carri e forse anche di bighe. Chi si recasse oggi sul posto non troverebbe nient’altro che qualche tessera bianca o nera disseminata qua e la sul terreno oggi coltivato, o qualche misero coccio di tegola. Come facciamo allora a sapere cosa c’è di vero in questa che sembra essere una delle tante leggende che popolano i nostri monti? Fortunatamente esiste una testimonianza oggettiva ed estremamente autorevole, essa si trova negli atti della Regia Accademia Nazionale dei Lincei in un estratto dal II° volume che trascrivo di seguito :
ATTI DELLA R. ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI
Notizie degli Scavi di antichità
Estratto dal volume II, Serie VI, fascicoli 7°, 8° e 9°
REGIONE VI (UMBRIA)
IX – GUARDEA- Mosaici romani
Nell’Ottobre dello scorso anno 1925 il Sig. Silveri Sante, ottenuto regolare permesso di scavo, metteva in luce in un terreno di sua proprietà posto in Comune di Guardea, frazione Cocciano, vocabolo Pian del Ceraso, alcuni resti di un edificio antico e due pavimenti a mosaico, ivi segnalati fin dal 1913. Secondo quanto affermano i proprietari del fondo e i contadini dei dintorni, la località, situata in un vallone in un punto non facilmente accessibile, fuori e lontano dall’attuale rotabile Amelia-Guardea, offrì già in passato notevoli e copiosi ritrovamenti di monete, di casse funerarie e oggetti vari. I resti ora discoperti, rilevati al pari dei mosaici dal topografo della Soprintendenza arch. I. Gismondi, fanno parte evidentemente di un edificio assai più vasto, con quasi certezza una villa, a cui debbono avere appartenuto anche altri muri a blocchi di travertino e pavimenti ad opus spicatum, che furono segnalati lì presso in occasione di lavori campestri. Essi comprendono pochi ambienti, disposti su due file parallele ed attigue: i muri divisori, conservati per una altezza di m. 0.50, sono a blocchetti informi di calcare con ricorsi irregolari di tegole: il loro spessore varia da m. 0.44 a m. 0.55; negli stipiti dell’unica porta riconosciuta si osserva qualche blocchetto squadrato.
Nell’ambiente a SE due murelli, paralleli alle pareti lunghe (1), sembrano essere i resti di suspensurae: il livello del piano di sopra di essi è il medesimo del piano dei mosaici, che ornano i due ambienti a NO: siamo pertanto con probabilità in presenza di ambienti termali, a cui del resto bene si converrebbero le figure rappresentate nei pavimenti scoperti.
(1)Il muro della parte meridionale fu rinvenuto anche più oltre verso est
Questi ornano come si è accennato, i due ambienti a NO, contigui e forse comunicanti fra loro (fig. 1 lettere a e b): sono di misure pressochè eguali (mosaico a: m. 2.55 X 1.68; b: m. 2.73 X 1.48), in buono stato di conservazione, almeno nella parte centrale figurata, a tessere bianche e nere, piuttosto piccole (un centimetro quadrato) e bene lavorate. Ognuno dei due mosaici reca, entro una riquadratura formata da una stretta fascia bianca tra due fasce nere, la esterna delle quali più larga, una figura.
Nel mosaico della stanza a (fig. 2) un cavallo marino, dalla lunga coda attorcigliata, muove vigorosamente verso destra; vi è sopra, e lo trattiene per le redini, un giovane ignudo, dalle forme grosse e tozze, che alza nella mano destra una frusta. Sopra e sotto la coda del mostro riempiono gli spazi vuoti un delfino natante ed un grosso pesce dalla coda tripartita.
Il mosaico b è per intero occupato da una sola figura, un Centauro marino, natante pure esso verso destra, che con la sinistra sorregge e porta alle labbra una lunga buccina, e con la destra tiene appoggiato alla spalla un oggetto, nel quale sembra riconoscere un vexillum, attributo invero raro per un tal genere di personaggi: non pare d’altra parte che esso possa scambiarsi con un remo o un tridente.
Il Centauro ha corpo e volto giovanile, imberbe. Le figure dei due mosaici e il modo di rappresentazione non presentano particolarità degne di nota di fronte alla copiosa massa di figurazioni simili, che costituiscono uno dei soggetti preferiti dell’arte musiva, usato particolarmente per la decorazione di ambienti termali: osservandole tuttavia non è possibile non ricordare subito, anche per l’eguale ampiezza e per la somiglianza di fattura, le figure di mostri marini del mosaico di Castelporziano, ora nel Museo Nazionale della Terme: e con molta probabilità allo stesso tempo di questo vanno attribuiti i pavimenti di Guardea, cioè al II sec. d. C. (I)
Le rovine, che ora si descrivono, sono tra le poche conosciute di questa regione, e tanto più meritano di essere segnalate, in quanto, come accennavo in principio, sono situate in una località lontana dai centri abitati, quasi perduta tra valloni e poggi di accesso tutt’altro che agevole.
(I)Anche i mosaici pubblicati recentemente dal MORETTI (Not. Scavi, 1925, p. 110 e p. 127) P. ROMANELLI
Leggendo le ultime righe non si può non essere sopraffatti dal rammarico per quanto in seguito si è verificato, ossia la perdita totale e irreparabile di un patrimonio che avrebbe senz’altro arricchito sia dal punto di vista culturale che dal punto di vista turistico-economico il nostro territorio. Come siano andati i fatti non è dato sapere in quanto i protagonisti non sono più in vita. Probabilmente nel periodo storico in esame, per la classe contadina che già stentava a mettere insieme il pranzo con la cena, non era prioritario l’aspetto storico culturale, e anzi la paura di vedersi sottratti preziosi metri quadri di terreno in nome di incomprensibili valori archeologici deve avere spinto i successivi proprietari a divellere a colpi di aratro quanto restava della villa. Non va dimenticato che negli anni trenta sotto la spinta della propaganda fascista si combatteva la cosiddetta “guerra del grano” che imponeva ai contadini lo sfruttamento di ogni centimetro quadrato seminabile. Ricordo che mio padre raccontava che persino la scoscesa “costa di Guardea Vecchia” era coltivata a grano a prezzo di immani fatiche.
Resta la speranza che grazie a una crescente sensibilità delle nuove generazioni e anche al minuscolo contributo degli articoli e del lavoro svolto sul campo da Trekkingmontiamerini, possano un giorno venire valorizzate come meritano anche le altre numerose emergenze storiche che costellano i nostri boschi e più in generale tutto il territorio di quella che viene a torto spesso chiamata “Italia minore”.