L’UNESCO ha iscritto “L’Arte dei muretti a secco” nella lista degli elementi immateriali dichiarati Patrimonio dell’umanità, poichè rappresentano “una relazione armoniosa fra l’uomo e la natura”. Nella motivazione dell’Unesco si legge: “L’arte del dry stone walling riguarda tutte le conoscenze collegate alla costruzione di strutture di pietra ammassando le pietre una sull’altra, non usando alcun altro elemento tranne, a volte, terra a secco. Si tratta di uno dei primi esempi di manifattura umana ed è presente a vario titolo in quasi tutte le regioni italiane, sia per fini abitativi che per scopi collegati all’agricoltura, in particolare per i terrazzamenti necessari alle coltivazioni in zone particolarmente scoscese”.
Terrazzamenti e muretti a secco alle pendici dei Monti Amerini
Il nostro girovagare per i boschi ci porta spesso a ricercare antiche testimonianze della presenza umana, manufatti a volte rilevanti come il castelliere del Monte Castellare, a volte minuscoli come il misero cumulo di macerie testimone della piccola edicola votiva che sorgeva il località San Marco, pensando che la storia possa essere raccontata solo da opere nelle quali sia evidente l’aspetto architettonico, lo scopo difensivo o almeno il ruolo storico.
Invece l’opera che più di ogni altra ha caratterizzato il nostro territorio modificandolo e plasmandolo alle esigenze delle passate generazioni, non ha niente di architettonico ma rappresenta comunque a mio parere una pregevole espressione artistica nel suo complesso.
Un’opera che racconta di fatiche immani, sacrifici, di vite dure dedicate a strappare a un terreno poco generoso il necessario per sopravvivere.
Sto parlando dei terrazzamenti, elemento caratteristico del territorio umbro in generale, e in particolare, per limitarci alle nostre immediate vicinanze, alle pendici dei Monti Amerini nel tratto fra Lugnano in Teverina e Montecchio.

Muretti a secco e oliveti, tipici della zona dei Monti Amerini
Queste opere recentemente hanno avuto la giusta rivalutazione entrando nella lista degli elementi immateriali dichiarati Patrimonio dell’umanità UNESCO.
Avevano la duplice funzione di mettere a disposizione piccoli spazi pianeggianti nelle scoscese coste dei Monti Amerini senz’altro più comodi da coltivare, e nello stesso tempo bonificare la superficie dall’abbondante pietrame presente.
Quasi sempre i terrazzamenti erano coltivati ad olivo, ma in alcuni casi, a quote più basse, venivano piantate anche viti maritate. Molto spesso negli spazi tra i “piantoni” trovavano posto altre coltivazioni.
Se l’appezzamento era a breve distanza dall’abitazione, poteva trovarvisi anche l’orticello di casa, diversamente erano impiegate altre colture come favetta o, in particolar modo durante il fascismo, era qui che si combatteva la cosiddetta “guerra del grano” che spinse i più audaci a seminare grano perfino sulle pendici di Guardea Vecchia.
A volte se ci si trovava lontani dal paese, venivano costruiti piccoli ripari sempre in pietrame a secco il cui tetto era realizzato con frammenti di lastre di pietra provenienti dalle numerose segherie della zona, oppure con le immancabili lamiere ondulate. Lo scopo era di proteggersi dal sole e dalle intemperie durante le giornate di lavoro, e avere un posto dove custodire gli attrezzi evitando di portarseli in spalla fino a casa.

Muri a secco ormai inglobati nel bosco di leccio
La fauna che si rifugia nei muretti a secco
Anche la fauna approfittava del riparo offerto dai terrazzamenti. Non era raro infatti mettere in fuga degli uccellini che avevano costruito il proprio nido tra i sassi.
Da ragazzo ricordo che rimanevo impressionato dalle centinaia di gusci di lumaca che si intravedevano negli interstizi tra una pietra e l’altra, e difatti era pratica abituale nelle umide mattinate la ricerca delle chiocciole annidate tra le pietre.
Che dire poi degli improvvisi spaventi cui andava incontro il cercatore di asparagi sorprendendo ramarri, serpentelli e spesso vipere intenti a scaldarsi al primo sole sulle tiepide pietre.
Peraltro anche l’asparago predilige i muretti, specie se si è provveduto alla pulizia dai cespugli, meglio ancora se con il fuoco. Oggi questa meraviglia della cultura contadina versa, salvo rare eccezioni, in stato di abbandono, e anche laddove ancora in uso, nessuno si cura di riposizionare le pietre cadute.
D’altronde probabilmente ben pochi ne sarebbero in grado. Il recente affermarsi della raccolta con mezzi meccanici porta a preferire le colture in terreni più pianeggianti e quindi meno disagevoli.

Oliveto e muretti a secco
Risulta infatti pressochè impossibile utilizzare sui terrazzamenti teli di dimensioni compatibili con i raccoglitori meccanici e nessuno si sognerebbe oggi di arrampicarsi sulla scala con il caratteristico canestro fissato alla cintola.
Lo spopolamento delle campagne e la scomparsa degli anziani, gelosi custodi di questi tesori ha fatto il resto, portando alla conseguenza che in molti appezzamenti lasciati a se stessi, gli olivi cerchino di sfuggire al mortale abbraccio dei rovi e dei cespugli ingaggiando una disperata corsa verso l’alto, mentre quelli al limitare del bosco siano stati ormai fagocitati dalla vegetazione.
Fa una certa impressione riconoscere sotto il fitto mantello dei lecci ormai decennali, i familiari muretti a secco che anticamente erano baciati dal sole e nei quali a volte si può ancora scorgere la sagoma deformata di un olivo inselvatichito.