Il taglio della legna sui Monti Amerini (1/2)
L’abbattimento degli alberi, la loro ripulitura ed il taglio della legna erano attività molto comuni sui Monti Amerini. Questi lavori erano infatti abituali per i contadini, che spesso dovevano abbattere delle piante per procurarsi la legna necessaria al loro fabbisogno. Durante l’inverno, poi, in campagna l’attività era molto ridotta perciò chi poteva andava a lavorare nei boschi per arrotondare le entrate. Le piante tipiche delle nostre colline e montagne erano soprattutto querce (cèrque), lecci (élci, érci, leccini), cèrri, ma anche corbezzoli (cerasi marini), carpini (càrpini, càrpani), fràssini, aceri (štucchj), ornelli (ornèlli, ornélli, òrni), alaterni (aratèlli) e così via.
I boschi erano tagliati, più o meno regolarmente, ad intervalli variabili tra i dodici ed i venti anni, secondo le specie di alberi presenti e le caratteristiche del terreno, che incidono in modo considerevole sulla crescita delle piante.
Individuato il bosco da tagliare bisognava contrassegnare (mercà, segnà) le piante che non dovevano essere abbattute. Questa operazione (la mèrca) era generalmente eseguita dalle guardie del Corpo Forestale dello Stato (le Foreštale), che utilizzando la vernice di migno segnavano le matricine (matricine, guide), cioè gli alberi da lasciare per garantire il ripopolamento del bosco.
La prima operazione da compiere per preparare il carbone consisteva nel procurarsi la legna necessaria. Il taglio del bosco (màcchja) veniva effettuato da settembre- ottobre fino alla fine di marzo o a metà aprile, quando cioè nelle piante la quantità di linfa in circolazione è particolarmente ridotta.
I bbošcajjòli erano organizzati in šquadre più o meno numerose e potevano avere compiti diversi secondo il tipo di organizzazione del lavoro. Le mansioni più delicate erano quelle relative alla squadratura dei tronchi, al taglio delle traverse ed alla preparazione del carbone, che richiedevano esperienza e conoscenze specifiche, perciò spesso questi lavori erano svolti da squadre specializzate (PE: c’èrano le maestranże).
L’abbattimento degli alberi, la loro ripulitura ed il taglio della legna erano, invece, attività molto comuni. Questi lavori erano infatti abituali per i contadini, che spesso dovevano abbattere delle piante per procurarsi la legna necessaria al loro fabbisogno. Durante l’inverno, poi, in campagna l’attività era molto ridotta perciò chi poteva andava a lavorare nei boschi per arrotondare le entrate (PE: allóra toccava arrangiasse…si cc’èra bbisògno s’annava a la màcchja).
Le squadre di bbošcajjòli erano quindi costituite in prevalenza da uomini del posto, ai quali si univano persone provenienti dai paesi vicini o dalle regioni limitrofe, che per svolgere il proprio lavoro erano costrette a spostarsi ovunque ci fosse richiesta. A volte era anche la gente di queste zone a partire per località lontane, in particolare verso l’Abruzzo, la Calabria e la Sardegna.
Le piante tipiche delle nostre colline e montagne erano soprattutto querce (cèrque), lecci (élci, érci, leccini), cèrri, ma anche corbezzoli (cerasi marini), carpini (càrpini, càrpani), fràssini, aceri (štucchj), ornelli (ornèlli, ornélli, òrni), alaterni (aratèlli) e così via.

Taglio della legna sui Monti Amerini
I boschi erano tagliati, più o meno regolarmente, ad intervalli variabili tra i dodici ed i venti anni, secondo le specie di alberi presenti e le caratteristiche del terreno, che incidono in modo considerevole sulla crescita delle piante.
Individuato il bosco da tagliare bisognava contrassegnare (mercà, segnà) le piante che non dovevano essere abbattute. Questa operazione (la mèrca) era generalmente eseguita dalle guardie del Corpo Forestale dello Stato (le Foreštale), che utilizzando la vernice di migno segnavano le matricine (matricine, guide), cioè gli alberi da lasciare per garantire il ripopolamento del bosco.
A volte capitava di dover abbattere piante secolari, cosa che, insieme alla difficoltà ed alla fatica, comportava una forte emozione ed un certo compiacimento.
Alcuni ricordano di aver tagliato dei boschi in cui non c’era traccia di precedenti interventi dell’uomo e in tal caso si aveva quasi la sensazione di profanare un luogo sacro.
Prima di tagliare gli alberi bisognava però eliminare le špine, sia per farsi strada nel bosco che per rendere più agevoli le operazioni di abbattimento e di recupero della legna. In questa fase si utilizzava soprattutto la šfrattaròla, un arnese costituito da una specie di robusta falce fissata ad un’asta di legno.
Per abbattere gli alberi, invece, si potevano adoperare l’accétta o ’l zegóne. La prima era particolarmente adatta per tagliare le piante di piccola e media dimensione, mentre la màcchja poteva appartenere ai privati, alla Chiesa oppure ai Dumini Collettivi ed alle Cumunanże Agràrie, degli enti tuttora esistenti che detengono la proprietà di boschi e terreni a nome e per conto della collettività. Le piante di modeste dimensioni erano indicate, nel linguaggio settoriale dei boscaioli, come matricine di primo turno, mentre gli alberi risparmiati dai tagli precedenti erano detti di secóndo turno e così via, fino ad arrivare ad esemplari anche molto vecchi.
Infatti quando si procedeva con l’abbattimento di un bosco, alcune delle matricine rimaste nel corso dei precedenti cicli di tagli venivano eliminate, mentre altre erano lasciate crescere affinché divenissero alberi maturi. Questi ultimi in alcune zone venivano contrassegnati con dei numeri scritti con la vernice alla base delle piante stesse.
Testo tratto da:
“Le voci della memoria. Viaggio da Amelia a Baschi tra parole e cose di ieri”
Sabrina Zappetta