Durante i nostri trekking sui Monti Amerini ci capita di trovare i resti delle costruzioni dei ripari per i maiali allevati allo stato brado. Testimonianza che le nostre montagne erano popolate, vive e abitate e offrivano possibilità e risorse per antichi mestieri oggi scomparsi quasi del tutto.
Da un antico atto chiamato “Istrumento di concordia”, un documento del 4 maggio 1684 nato per risolvere le pendenze fra i conti di Marsciano (baroni di Guardea) e i privati della comunità, apprendiamo dell’importanza delle ghiande nell’economia rurale locale:
“Che i vassalli possano tagliar legna liberamente per il loro servizio in tutto il territorio eccetto nel ristretto della Fornace del Mattatoio. Non si tagliano alberi di ghianda (querce e cerri); ma è permesso soltanto il taglio dalla corona in giù. Per tagliar alberi ghianniferi e da frutto, ci vuole il permesso dei conti o loro ministro, il quale non si possa negare (per costruzioni)”.

Affresco Santa Maria a Vallo di Nera, maialino nero cintato, della razza denominata “cinturino” specifica dell’entroterra umbro
Nei vari registri dell’epoca per “danni dati” le liti vertono sul furto di ghianda. Infatti anche se la cosa oggi può farci sorridere, la ghianda era una incredibile risorsa, non solo per dare da mangiare ai maiali, purtroppo, in periodi di carestie veniva usata per panificare, esattamente come lo erano anche i legumi più poveri. Con le ghiande, una volta tostate e macinate con apposite mole in pietra, si produceva una farina, e con questa, pani o polente, mescolando la farina di ghiande con farina di frumento.
Anticamente i Monti Amerini erano boschi d’alto fusto e i lecci enormi producevano una grande quantità di ghianda. Questa dava l’opportunità di sfamare i maiali che venivano lasciati allo stato brado a pascolare nei boschi. Veniva costruito loro un riparo con i sassi, di forma circolare e con la copertura di rami bene intrecciati in modo che fossero perfettamente al riparo e l’acqua non filtrasse all’interno.

Corno per richiamare i porci
Di giorno venivano liberati e così gli animali potevano pascolare liberamente nei boschi cibandosi di tutte quelle ghiande che si trovavano. In effetti un grande leccio ne poteva produrre fino a due quintali. La sera poi venivano rimessi nelle loro casette e per richiamarli si usava suonare un corno di vacca oppure la cosiddetta “lumaca” che era una grande conchiglia alla quale era stata sezionata un’estremità. Con questi “strumenti” si emetteva un forte suono che fungeva da richiamo, infatti il gregge di maiali anche se distanti nel bosco prontamente accorreva, ricevendo qualche boccone ghiotto, come orzo e favino. Dopo venivano rinchiusi nel loro riparo dove trascorrevano la notte al sicuro e all’asciutto.
Bibliografia:
Luciano Canonici, “Guardea, un paese della teverina”
Fonti orali:
Panfili Carlo